CHIUDERE IL PROPRIO NEGOZIO PUO’ ESSERE UN’ESPERIENZA TRAUMATICA CHE TI SEGNA PER IL RESTO DELLA VITA. LE STORIE DEI COMMERCIANTI BISTRATTATI CHE HANNO DOVUTO CHIUDERE IL PROPRIO NEGOZIO HANNO TUTTE UN COMUNE DENOMINATORE: IL SENSO DI VERGOGNA NEI CONFRONTI DEI FIGLI E DELLA FAMIGLIA
Abbiamo gia’ scritto altri due post su “Cosa succede quando si è costretti a chiudere il proprio negozio?” che potete leggere cliccando qui per la prima parte e cliccando qui per la seconda, tratti dalle testimonianze di alcuni Commercianti Bistrattati che hanno deciso di condividere le proprie esperienze nella sezione Story del nostro Blog U.C.B. Family. Oggi, con questo post, concludiamo la nostra riflessione su tutte le conseguenze materieli, morali e psicologiche che seguono la chiusura di un negozio analizzando un aspetto che abbiamo riscontrato in molte delle vicende descritte da alcuni commercianti che sono stati costretti a chiudere il proprio negozio affiliato al Gruppo Benetton: il senso di vergogna nei confronti dei figli e dei familiari.
“Quadrifoglio è una società a responsabilità limitata, attualmente in liquidazione, i cui soci ed amministratori siamo io e i miei genitori Enrico Luigetti e Gabriella Rocchi. Una società “di famiglia†costituita unicamente per la gestione dei rapporti con il gruppo Benetton e la conseguente attività commerciale e per la quale abbiamo speso, ormai, un’intera vita di lavoro
La mia famiglia ha aperto il primo punto vendita di prodotti Benetton a Grosseto, denominato “Jeans West†addirittura nel lontano 1977  e nel tempo abbiamo completato sul mercato di Grosseto la gamma delle linee Benetton (Sisley, 0.12 e merceria). Solo successivamente, nel 1985, abbiamo …[,,,]”
Tratto da – QUADRIFOGLIO s.r.l. un’intera vita di lavoro distrutta dai BenettonÂ
“La storia commerciale della mia famiglia inizia nel lontano 1943. Mio padre Silvio, detto Bobo, si recava con una bicicletta dotata di un ampio portapacchi ad Adria e nelle piazze dei comuni limitrofi per vendere lamette, schiuma e pennelli da barba. Poi un po’ alla volta insieme ai fratelli riuscì nell’impresa di divenire ambulante in pianta stabile con un banco di borse ed accessori e per l’abbigliamento. Nel 1959 aprì nella via centrale di Adria il suo primo negozio che era gestito da mia madre Liliana proponendo sempre borse ed accessori. Erano gli anni d’oro del boom economico italiano e un po’ alla volta dopo tantissimi sacrifici e amore per il proprio lavoro , riuscì a comperare due negozi di grande metratura dove trasferì la propria attività .
Nel 1984 fu aperto il negozio di calzature “Bobo Calzature†gestito dal sottoscritto dopo aver terminato gli studi […]
Fu questo lo sbaglio più grande della mia carriera, dovevo prendere le insegne del negozio Benetton e 012 e buttarle nel marciapiede e chiudere ogni tipo di rapporto. Iniziava anche la grande crisi alimentata anche dai campionari, proposte ed obblighi non più calibrati ….[…]
Tratto da – La storia di Massimo imprenditore ed ex Sindaco di Adria scottato dal rapporto con Benetton
Spesso la gestione dei negozi di abbigliamento Benetton è un affare di famiglia, sono molte le vicende descritte nelle Stories che vedono proptagoniste le diverse generazioni di commercianti che tramandano i propri affari ai propri discendenti. sicuramente i rapporti familiari diventano possono entrare in crisi, fino a diventare molto difficili quando vi sono interesi economici importanti in ballo, ma è anche peggio quando si deve temere per i figli, quando si ha paura che gli effetti della chiusura del proprio negozio possano avere delle ricadute negative anche su di essi. Un storia particolarmente dolorosa, è stata raccontata da Cristiano ed Isabella costretti a chiudere i propri negozi Benetton a Brindisi dopo tanti anni di collaborazione con Ponzano Veneto. La vicenda dei commercianti Cristiano ed Isabella è particolarmente traumatica, oltre che complicata, per loro stessi e per la loro famiglia finchè decidono addirittura di lasciare l’Italia pur di mettere a riparo i figli.
“Dopo il fallimento delle due imprese, ci siamo trasferiti definitivamente in Spagna per due principali motivi: 1- la possibilità di ricostruire una vita professionale che, evidentemente qui in Italia, a meno di non essere assunti come dipendenti, non sarebbe più stato possibile causa fallimento;
2- la volontà di non sottoporre le nostre due figlie al chiacchiericcio che sarebbe seguito alla chiusura per fallimento di 4 negozi e di 2 aziende che, in una cittadina meridionale di provincia come Brindisi con soli 85.000 abitanti avevano dato lavoro fino a 40 persone, dando loro l’opportunità (cosa che si è consolidata nella realtà odierna) di poter studiare e mettere a frutto nel mondo del lavoro i loro sacrifici con molte maggiori possibilità rispetto a ciò che avveniva in Italia.”Tratto da – Cristiano ed Isabella vivono un incubo per causa del fallimento chiesto da Benetton