Rapporto Fuori dall’Ombra: i grandi marchi della moda “fast” sfruttano i lavoratori

RIPORTIAMO SUL BLOG DELL’UNIONE DEI COMMERCIANTI BISTRATTATI UN INTERESSANTE ARTICOLO PUBBLICATO DAL SITO ALTRECONOMIA SULLO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI DA PARTE DI ALCUNE AZIENDE DEL COMPARTO MODA TRA CUI BENETTON: SU 108 DITTE E RIVENDITORI INTERVISTATI NESSUNO GARANTISCE AI PROPRI DIPENDENTI UNO STIPENDIO MINIMO.

Il sito Altreconomia ha reso pubblico, in un articolo che potete leggere come sempre nella versione originale cliccando sul link “Fonte” a piè pagina, lo studio di Clean Clothes Campaign “Fuori dall’ombra: riflettori puntati sullo sfruttamento nell’industria della moda”.

Clean Clothes Campaign, network globale composto da ben 234 organizzazioni che si occupano dei diritti dei lavoratori del settore “fast fashion”, per stilare il proprio rapporto, ha intervistato 108 marchi e rivenditori del settore abbigliamento in 14 diversi Paesi e nessuno di questi sembrerebbe riuscito a fornire le prove di un trattamento regolare nei confronti dei propri dipendenti e delle ditte a cui era subappaltato il lavoro di produzione.

Anche Benetton presente nel rapporto “Fuori dall’Ombra: riflettori puntati sullo sfruttamento nell’industria della moda”. La multinazionale “italiana” proprietaria tra l’altro anche dei marchi Sisley, United Colors of Benetton e Undercovers, secondo lo studio di Clean Clothes Campaign, infatti, non si sarebbe impegnata pubblicamente a garantire uno stipendio regolare a tutta la propria filiera sparsa in tutto il mondo.

“I salari di povertà continuano ad essere un problema sistemico nell’industria dell’abbigliamento, spesso nascosto in profondità all’interno di catene di fornitura complesse e segrete. Una situazione ulteriormente peggiorata durante la pandemia di Covid-19 quando i grandi marchi  hanno deciso di annullare ordini e imporre sconti ai fornitori, lasciando così i lavoratori senza gran parte dei salari”

La realtà fotografata dal rapporto “Fuori dall’Ombra: riflettori puntati sullo sfruttamento nell’industria della moda” evidenzia come spesso i lavoratori siano costretti ad accettare contratti non regolari, in cui vengono posti obiettivi quotidiani definiti eufemisticamente “irrealistici” per il raggiungimento dei quali sono obbligati a giornate lavorative molto più lunghe ed estenuanti che alla lunga potrebbero addirittura minare la salute. Dalle interviste, infatti,  si evince che molti dei lavoratori a cui viene subappaltata la produzione rinunciano alla pausa pranzo e alle pause previste dalla legge e che spesso arrivano a lavorare per troppe ore.

100 ore di lavoro al mese per i lavoratori cinesi e nessuno straordinario in busta paga, sono loro tra i più sfruttati del pianeta a giudicare dalle interviste rilasciate al network Clean Clothes Campaign:

“Il mio lavoro è estenuante. Ogni giorno devo lavorare 18 ore. Molti non riescono a portare a termine gli obiettivi giornalieri che impone l’azienda e sono licenziati. Devo lavorare senza fermarmi per mantenere il posto”

Se questa non è schiavitù poco ci manca.

Per completezza di informazione dobbiamo specificare che la ricerca è stata realizzata attraverso questionari inviati a 108 marchi e rivenditori in 14 Paesi e mediante interviste a 490 lavoratori, di cui sono state analizzate le buste paga, in 19 diversi stabilimenti produttivi in Cina, Indonesia, India, Ucraina e Croazia. Tra i brand analizzati i più importanti sono H&M, Adidas, Gap e gli italiani Benetton, Calzedonia, Gucci, Geox, Falc, OVS e Salew e nessuno degli intervistati è riuscito a fornire riscontri o prove sulla corretta retribuzione dei propri dipendenti.

Fonte: Altreconomia

 

 

 

 

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