CINZIA MASSARONI, UNA CARRIERA COLMA DI DIFFICOLTÀ SOTTO IL MARCHIO BENETTON CHE ANCORA OGGI SI RIPERCUOTE SULLA SUA VITA PRIVATA
Ho iniziato la mia avventura con Benetton nel 1996. Ero sub-agente Sisley (brand del gruppo) e finalmente due anni dopo ho aperto il primo negozio in società con il rappresentante di zona. Dopo un periodo di buone vendite, purtroppo il mio collega è stato licenziato a causa di incongruenze con l’azienda. Rimasi da sola e a quel punto, non volendo mollare poiché ero convinta del mio lavoro, decisi di proseguire prendendo in affitto il negozio e lanciandomi al 100% nella attività di imprenditrice.
Successivamente mi resi conto di dover rifare l’arredamento del punto vendita, come era imposto dal Marchio. Gli arredamenti e la disposizione del negozio erano aspetti decisi direttamente da Benetton, per questo bisognava seguire le regole e investire molto: io spesi circa 100 mila euro.
Purtroppo con la crisi del 2008 il punto vendita iniziava a vacillare. Inizialmente vendevo solo il marchio Sisley, ormai poco competitivo e i clienti erano poco interessati. I pochi incassi non mi permettevano di coprire interamente le spese e feci presente alla direzione che le nuove collezioni non piacevano, senza trovare in loro alcun riscontro. Anzi, sostenevano fosse un mio problema e mi imponevano nuovi acquisti di merce. Iniziavo ad avere i primi scoperti nei pagamenti e quando non sono più riuscita a pagare il tutto, Benetton mi ha bloccato le spedizioni delle merci, peggiorando di conseguenza la mia situazione da venditrice. Da un lato ero obbligata a comprare, dall’altro non riuscivo a pagare, loro non mi spedivano la merce e io non potevo vendere. Ero in un vortice senza possibilità di uscita.
Mi sono sentita sola e spaesata, non sapevo a chi rivolgermi e anche se inviavo email di richiesta alla Benetton o chiamavo per ricevere nuove direttive e possibili soluzioni, non sono mai arrivata ad avere un confronto diretto di persona. Per questo mi sono trovata ancor più in difficoltà . Da loro le risposte tardavano ad arrivare e non ricevevo alcun sostegno. Per poter andare avanti mi ero impegnata personalmente, vendendo i gioielli di famiglia, impegnando i miei risparmi e le mie proprietà . Qualche collega mi ha dato un aiuto, offrendomi della merce da poter vendere, ma questo ha solo posticipato il problema di qualche settimana. In azienda i soldi li volevano tutti e subito e ho pensato si augurassero addirittura il mio fallimento.
Ho sempre voluto amministrare i miei negozi da sola: sono arrivata ad averne 4 tra Sisley e Benetton (Nel 2001 ne aprii un altro, sempre per il brand Sisley, mentre nel 2007 e 2008 altri due a marchio Benetton). Solo qualche volta ho contato sulla collaborazione di qualche socio, ma l’azienda Benetton, da contratto, ha sempre imposto le sue direttive e le sue dinamiche che noi dovevamo ovviamente rispettare.
Uno dei problemi principali che ho incontrato durante la mia carriera è stato il rapporto con l’azienda: ricordo ancora le telefonate e le umiliazioni che ricevevo da alcuni di loro, fino a piangere e a stare male. Inoltre, un grande problema si era manifestato quando dovevano spedire al negozio il quantitativo di merce ordinato (e da loro imposto): quando ero in difficoltà con i pagamenti non ricevevo alcun aiuto. Faticavano a mandarmi i prodotti, fino ad arrivare alla sospensione delle spedizioni, nonostante elemosinassi l’abbigliamento da poter vendere. Avevo pure segnalato che le collezioni non piacevano, che non erano più di tendenza e non potevano competere con i nuovi brand concorrenti. Non ottenevo risposte concrete e per di più restai per diverso tempo senza merce nuova da esporre. Abbiamo provato a risolvere la situazione anche con le cambiali, ma non è andata molto bene e loro hanno comunque sospeso gli approvvigionamenti al mio negozio.
Purtroppo, a causa di questa dinamica imposta dall’azienda, le vendite nel negozio sono ulteriormente calate; i clienti non compravano più, poiché non si rispecchiavano nel marchio e nei prodotti proposti. Spesso ho inviato dei messaggi agli uffici della casa madre, ma senza avere risposte chiare e trasparenti. L’azienda Benetton non era stata in grado di darmi delle soluzioni alternative e le risposte da parte loro erano sempre le stesse: “è strano, solo lei ha questa tipologia di problemi†oppure “non è un problema nostro, lei deve riuscire a pagare!â€.
Sono andata in depressione. Non riuscivo a comprendere come fosse stato possibile che da un giorno all’altro mi sia ritrovata incapace di gestire l’attività . Poi ho scoperto che anche altri imprenditori come me erano sulla stessa barca. Da Benetton passava il messaggio che fosse solo un problema mio, anche se poi, in realtà , ho scoperto essere il problema di molti altri. L’elevato stress fisico e psicologico mi ha portato a prendere dei farmaci che hanno avuto effetti collaterali importanti, influendo pure sulla mia gravidanza.
Intanto le cose andavano sempre peggiorando. Benetton apriva dei retail con sconti che partivano dal 40% mentre a me, nelle promozioni, veniva concesso il 30%. Già era impari in partenza. Per l’azienda noi eravamo solo dei numeri, al punto che non palesavano interesse per la realtà di un “loro†negozio che stava andando male, prossimo al fallimento.
Con mio dispiacere, dopo un po’ di tempo mi sono ritrovata a chiudere il punto vendita per bancarotta e gli sviluppi non mi hanno più permesso di collaborare con la “vecchia impresaâ€, condizionando irreparabilmente il rapporto. Ho dovuto lasciare anche gli altri negozi. Reduce dall’avventura Benetton, ho vissuto successivamente tempi bui e ne sono uscita pagando a caro prezzo: una famiglia divisa, un divorzio alle spalle e molto stress accumulato dal lavoro degli ultimi anni. Ho dovuto seguire un percorso terapeutico per diverso tempo. Mi sentivo incapace e fallita. Ho venduto la casa per saldare qualche debito e un aiuto l’ho poi avuto dai miei genitori, ma ancora oggi sono chiamata in causa da pratiche legate al passato. Ora faccio altro e mi sono pentita della scelta fatta nel 1998. Adesso, però, almeno durante la notte dormo.
Alla fine ho anche scritto una lettera al Sig. Luciano Benetton, spiegandogli la mia situazione e la mia difficile esperienza sotto il suo marchio, per avere da lui anche ulteriori risposte sui comportamenti adottati dall’azienda stessa. Vorrei tanto che la leggesse e che mi desse delle spiegazioni.
Piu storie leggo piu la situazione e uguale a tutte le altre.
Il nostro pecco e lo ribadisco che a tempo debito e che non avevamo colloqui o scambi di opinioni tra noi esercenti Benetton, ognuno si coltivava in modo negativo il proprio orticello anzi talui snobavano si sentivano importanti ma anche per loro le pezze nel culo non mancavano.
Non posso non ricordare le scadenze mensili e la difficolta di coprire gli assegni fatti con data antecedente alla data incasso cosi a fine anno le banche ci davano il colpo di grazia per la scopertura della valuta dei giorni.
Criminali e Mafiosi
leggendo questa storia,ho rivissuto ogni momento……..che tristezza!
Purtroppo le storie sono tutte uguali, sembra che abbiamo fatto un copia incolla, invece ogni persona ha vissuto questa tristissima situazione
Le nostre storie somigliano tutte ,è vero. Ma inizialmente non è stato così. A chi abbiamo raccontato la nostra sventura, compreso i legali, hanno tutti fatto la stessa osservazione : Vi hanno forse puntato una pistola alle tempie? No, hanno fatto di peggio, hanno giocato a farci sentire una nullità . Sostenevano che fosse un problema solo nostro, perchè, a loro dire, gli altri commercianti vendevano, gli altri negozi funzionavano. Abbiamo provato imbarazzo a doverci confrontare tra di noi. Nessuno conosceva la realtà dell’altro . Quando la situazione ha cominciato a peggiorare, abbiamo avuto TUTTI il coraggio di raccontare e di confrontarci, e abbiamo capito finalmente che gli incapaci nn eravamo noi, ma loro. Quando scrivo :loro, è chiaro che mi riferisco ai Benetton. I quali, avevano adottato un metodo vessatorio e fallimentare nei confronti di tutti gli affiliati. Imponevano quantitativi, postazioni centralissime dei locali , leasing per gli arredamenti (costosissimi) e che in realtà non valevano nemmeno la metà di quello che pagavamo. Con il tempo bisognava aumentare il fatturato, cambiare gli arredamenti e molto spesso cambiare anche locale. Non erano consigli aziendali, ma vere e proprie imposizioni. E se la decisione non veniva condivisa, ci minacciavano di aprire un nuovo punto vendita proprio difronte al nostro. Più grande, con più merce che ci avrebbe fatto concorrenza e che in pochi mesi ci avrebbe portato alla chiusura. La merce invernale era nei nostri magazzini già tutta a luglio. Ad agosto , secondo la loro idea, bisognava mettere in vetrina già i capispalla autunnali . Noi che viviamo al sud, indossiamo il primo cappotto a gennaio…. Avendo consegnato tutta la merce invernale a giugno, la prima rata di pagamento era in agosto. Rate che sfioravano i cento milioni ( c’era ancora la lira). Quindi, per spiegarvela in breve, pagavamo somme altissime di merce ancora invenduta in solo tre rate : 30- 60- 90-. Somma che veniva pagata grazie a scoperti che la banca ci permetteva di utilizzare. La pistola alla tempia di cui vi ho parlato inizialmente era questa : gli scoperti bancari. Il ricatto dei benetton era quello di bloccare le consegne delle merci nel momento in cui ritardavamo i pagamenti. Bastava fare ordini più piccoli adatti a quelle che realmente erano le esigenze della piazza in cui lavoravamo, e ci saremmo salvati, ma nn ce l’hanno mai permesso. Col tempo hanno cominciato a pretendere assegni post-datati e cambiali in garanzia della consegna merci. Cambiali che consegnavamo ai rappresentati di zona, che venivano selezionati dai benetton in base alla loro infamità . Degni uno dell’altro. Scrivere in sintesi quello che la benetton è stata nella nostra vita è compito difficilissimo, e a volte dolorosissimo da raccontare.