Mapuche contro Benetton

Sono antiche le lotte tra il popolo Mapuche e la multinazionale Benetton.

Lotte che affondano le radici in ciò che più collega un popolo alle proprie origini e, quindi, alla propria storia: la terra di nascita.

Terra che, per gli indigeni Mapuche, costituisce il ventre di una madre (per dirla con il poeta Rayen Kvyeh che si è fatto portavoce del grido di dolore di questi “orfani” privati della madre terra) dai quali sono stati strappati con la violenza e la sopraffazione.

I drammatici eventi che sono da porre a inizio di questa storia prendono avvio nell’ormai lontanissimo 1991 quando la multinazionale Benetton acquisisce la compagnia Tierras De Sur Argentino con i suoi 924.000 ettari di terra, da secoli “tierra madre” del popolo Mapuche.

Questi ultimi vengono di lì a poco sfollati, pur continuando, alcuni, ad essere impiegati per la sua lavorazione, ma sulle cui modalità e scelte di sfruttamento da parte della multinazionale, i Mapuche hanno sempre trovato motivo di lotta strenua.

Tanto strenua da essere ripetutamente repressa e i Mapuche (letteralmente “uomini della terra”) accusati di terrorismo.

La Benetton, dal canto suo, su questi terreni alleva circa 260000 capi di bestiame tra pecore e montoni per un totale di prodotto laniero di circa 1 milione e 300 mila chilogrammi di lana l’anno, la totalità della quale viene esportata in Europa. A questo si aggiunga che nei medesimi luoghi vengono allevati circa 16 mila bovini per produrre carne da macello.

Alle accuse dei Mapuche di sfruttare la terra dei loro padri, Benetton risponde che il loro lavoro nella terra argentina va a tutto favore del loro paese, reinvestendo capitali e risorse favorendo, così, l’occupazione e la crescita.

Benetton inoltre, dal 1996, pare che abbia qui iniziato uno sfruttamento delle risorse del sottosuolo per l’estrazione di oro e argento, tramite la Compañia Mineras Sur Argentino S.A.

La multinazionale che si è sempre, almeno sulla carta e nella pubblicità, fatta portavoce dei diritti di tutti, senza distinzione di razza o colore, sembra non sentire ragioni.

Per questo le lotte dei Mapuche non si fermano, nonostante la perdita, nel 2017, di uno dei suoi più strenui difensori: Santiago Maldonado.

Di pochi giorni fa, infatti, è un comunicato del leader Facundo Jones Huala che, dal suo luogo di prigionia con l’accusa di terrorismo, invita tutti a lottare strenuamente per riappropriarsi di ciò che, da sempre, appartiene al suo popolo e porre fine allo sfruttamento della loro terra e soprattutto a quella dei suoi figli naturali impiegati come domestici e operai.

Un appello che merita, senza dubbio, di essere ascoltato, per giungere al più presto, si spera, ad una risoluzione definitiva di questo conflitto.

FONTE:

1)pressenza.com

2)secoloditalia.it

 

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