Chiusi già 100 negozi, Perchè Benetton vuole chiudere altri 300?

E’ uscito un nuovo articolo molto interessante sul magazine Il Post dal titolo “La lunga crisi di Benetton” che fa il punto sulla difficile situazione che il marchio di Ponzano Veneto sta affrontando nell’ultimo periodo. A dire il vero la crisi del marchio è ormai conclamata da anni, ma gli ultimi mesi sono stati un vero e proprio disastro. Le chiusure dei negozi Benetton si stanno susseguendo ad un ritmo impressionante, ne sono già stati chiusi 100 anno e, secondo i piani, altri 300 negozi Benetton dovranno abbassare le saracinesche nei prossimi mesi. Per l’esigenza di far quadrare i conti? O c’è anche dell’altro?

Chiuderanno altri 300 negozi Benetton

Certamente la chiusura di 500 negozi Benetton, tra Italia e resto del mondo, è un tentativo di rispondere alla profonda crisi industriale che ha investito il gruppo, ma probabilmente anche una conseguenza della serie di eventi societari che hanno portato la famiglia Benetton a ritirarsi completamente dalla gestione. Forse, il punto, è anche questo, senza il controllo diretto della famiglia Benetton, potrebbero cambiare anche piani e procedure per inseguire il modello di business, più agile, dei marchi concorrenti.

Fino ad oggi, l’azienda Benetton detiene un controllo quasi completo sull’intera filiera. Anche se la produzione è già prevalentemente situata all’estero, questa opera sotto la supervisione della sede centrale. La gestione commerciale, invece, è affidata a una rete capillare di punti vendita, composta sia da negozi di proprietà diretta del gruppo che da quelli in franchising (oggi a quanto pare particolarmente nel mirino).

Da domani, invece, sembrerebbe deciso il cambio di passo, niente più controllo scrupoloso sulla catena di produzione, sia dal punto di vista etico che della qualità, in cambio di minori costi e maggiori ricavi, seguendo il modello dei diretti concorrenti. Sarà una svolta positiva questa? Staremo a vedere, non ne siamo certi.

Che fine faranno i negozi in Franchising della Benetton?

Il cosiddetto piano di risanamento messo a punto dall’AD Claudio Sforza, si concentra molto sui rapporti con i negozi in franchising, per anni, uno dei punti di forza del successo Benetton. Questo modello prevedeva l’affidamento della gestione e dei costi operativi a commercianti imprenditori esterni, permettendo al gruppo Benetton di sviluppare un’efficiente rete capillare sul territorio. I negozi in franchising acquistavano e vendevano prodotti a marchio Benetton, mentre l’azienda contribuiva marginalmente alle spese e percepiva una percentuale sulle vendite.

Purtroppo, negli anni, alcuni di questi punti vendita hanno accumulato un notevole debito nei confronti del gruppo per merce ricevuta, venduta ma non saldata. Il totale di questo ammanco ha raggiunto i 160 milioni di euro, con oltre 30 milioni provenienti esclusivamente dai negozi situati in Puglia e Sicilia. In queste regioni, diverse società, responsabili di più punti vendita Benetton, sono ora coinvolte in dispute legali con il gruppo.

La situazione è più complicata di come sembra. Dalla fine dell’estate, il Gruppo Benetton ha avviato un piano per il recupero rapido di queste somme, imponendo la chiusura dei negozi qualora i gestori non fossero in grado di saldare i debiti.  I commercianti, dal canto loro, si difendono attribuendo i mancati guadagni e l’aumentare dei debiti, alle errate politiche aziendali imposte da Ponzano Veneto. 

  • Condizioni contrattuali penalizzanti
    Gli affiliati lamentano che i contratti di franchising imposti dal gruppo siano sbilanciati a favore dell’azienda. Spesso citano l’obbligo di acquistare grandi quantità di merce, indipendentemente dalla reale domanda del mercato, lasciandoli con magazzini pieni di prodotti invenduti.
  • Prezzi di acquisto troppo elevati
    Alcuni commercianti sostengono che i prezzi imposti dalla sede centrale per i prodotti siano troppo alti rispetto al valore percepito dai clienti finali, rendendo difficile la vendita e compromettendo la redditività dei negozi.
  • Mancanza di supporto da parte del gruppo
    Gli affiliati accusano Benetton di non aver fornito adeguato supporto commerciale, pubblicitario e logistico, lasciandoli a fronteggiare da soli la concorrenza e i cambiamenti del mercato. In alcuni casi, affermano di non aver ricevuto le promesse agevolazioni economiche per sostenere i costi operativi.
  • Scelte strategiche controproducenti
    Alcuni commercianti attribuiscono la crisi dei negozi a decisioni strategiche prese dalla sede centrale, come la mancanza di innovazione nei prodotti, il calo degli investimenti in marketing o l’eccessiva apertura di punti vendita in aree già sature.
  • Crisi economica e pandemia
    Un’altra linea di difesa comune è che le difficoltà economiche, aggravate dalla pandemia di COVID-19, abbiano avuto un impatto devastante sulle vendite, rendendo impossibile per molti negozianti rispettare gli obblighi finanziari.
  • Controversie sui rimborsi e sugli sconti
    Alcuni affiliati sostengono che Benetton non abbia rispettato gli accordi su eventuali sconti, resi o contributi alle spese, aggravando ulteriormente la loro situazione finanziaria.

In alcuni casi, i punti vendita con maggiori potenzialità commerciali sono stati reintegrati sotto la gestione diretta dell’azienda. Un esempio è Bologna, dove, dei quattro negozi in franchising chiusi l’anno scorso, uno è stato recuperato e trasformato in un punto vendita di proprietà diretta.

I costi sociali della chiusura dei Negozi Benetton in Franchising

Dietro la facciata delle serrande abbassate e dei loghi ormai sbiaditi, la chiusura dei negozi Benetton in franchising nasconde un terremoto sociale che scuote profondamente le comunità locali. Non si tratta solo di numeri nei bilanci o di strategie aziendali fallite. Si parla di persone, di famiglie, di interi quartieri che vedono svanire un pezzo di identità e di stabilità economica.

Ogni negozio che chiude non è soltanto uno spazio vuoto in un centro commerciale o una vetrina spenta in una via del centro. È un simbolo di qualcosa di più grande: una crisi che investe piccoli imprenditori, lavoratori e persino i clienti, in un effetto domino che si propaga ben oltre le mura del punto vendita.

Per i dipendenti, spesso giovani o madri di famiglia che hanno trovato nei negozi Benetton una fonte di reddito, la chiusura rappresenta molto più di un licenziamento. È uno strappo nella loro quotidianità. Molti di loro lavorano con contratti precari o part-time, privi di tutele significative. Quando il negozio chiude, si trovano catapultati in un mercato del lavoro sempre più ostile, dove le opportunità scarseggiano e le alternative si contano sulle dita di una mano.

E poi ci sono loro, gli affiliati, i commercianti bistratti. Piccoli imprenditori che hanno investito anni di lavoro e risparmi di una vita per aprire un negozio Benetton, credendo in un marchio che per decenni ha incarnato l’idea di successo e innovazione. Oggi, quegli stessi imprenditori si trovano con magazzini pieni di merce invenduta e debiti che crescono come un’ombra minacciosa.

Molti di loro si sentono traditi. Hanno accettato contratti onerosi, acquistato prodotti a prezzi imposti dalla sede centrale, e ora si ritrovano a dover pagare per una crisi che non hanno causato. Per alcuni, la chiusura non significa solo la perdita di un’attività, ma il fallimento personale. Dietro ogni negozio chiuso, c’è una storia di sacrifici, di notti insonni e di speranze infrante.

Alla fine, chi paga il prezzo di questa crisi? I lavoratori, gli imprenditori, le comunità locali. Tutti, tranne chi ha preso le decisioni sbagliate, chi ha imposto condizioni insostenibili, chi ha preferito tagliare e chiudere piuttosto che trovare soluzioni.

1 commento su “Chiusi già 100 negozi, Perchè Benetton vuole chiudere altri 300?”

  1. La verità sul declino di Benetton: chi ha davvero pagato il prezzo?

    L’articolo pubblicato descrive la crisi di Benetton attribuendo parte delle colpe ai commercianti in franchising che avrebbero accumulato debiti verso l’azienda. È necessario fare chiarezza: questa narrazione ignora i problemi strutturali e le decisioni strategiche sbagliate che hanno messo in difficoltà non solo il marchio, ma anche i negozianti che per anni ne hanno sostenuto la rete commerciale.

    Le politiche imposte da Benetton ai franchising hanno spesso creato condizioni insostenibili. I negozianti erano obbligati ad acquistare merce in quantità sproporzionate rispetto alla domanda reale, senza flessibilità nei pagamenti o supporto strategico adeguato. Le proteste e le denunce legali dei commercianti – alcune delle quali hanno già prodotto sentenze a loro favore – testimoniano che molte delle difficoltà finanziarie derivano proprio da un modello di business rigido e poco attento alla sostenibilità dei partner locali.

    I dati parlano chiaro: la crisi del marchio non è colpa dei negozianti. I numeri evidenziano un calo delle vendite iniziato oltre un decennio fa, dovuto a una mancata capacità di innovazione e a un modello produttivo inefficiente rispetto ai concorrenti. Invece di rivedere le proprie strategie, Benetton ha scelto di scaricare le conseguenze sui commercianti, pretendendo rientri immediati dai debiti e chiudendo i punti vendita in franchising senza considerare il dramma sociale che questo avrebbe generato.

    Dietro ogni negozio chiuso ci sono famiglie distrutte, dipendenti lasciati senza lavoro e piccoli imprenditori ridotti alla bancarotta. Non si può accettare che questi vengano additati come responsabili del “buco” finanziario, quando sono stati loro i primi a subire le conseguenze delle scelte aziendali. Molti commercianti hanno provato a far sentire la propria voce, denunciando pratiche scorrette sia penalmente che al Garante, ottenendo in alcuni casi riconoscimenti legali parzialmente favorevoli. Eppure, l’azienda continua a ignorare il significato di queste decisioni.

    È tempo che si racconti la verità: la crisi di Benetton è il risultato di anni di scelte sbagliate da parte della direzione centrale, non dei negozianti che hanno cercato di mantenere vivo un marchio ormai incapace di adattarsi ai tempi. Mentre i vertici puntano il dito contro chi si trova all’angolo, intere comunità subiscono le conseguenze di politiche aziendali miope e aggressive.

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